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Il 90% del vino bio italiano prende la via dell’estero, in Piemonte gli ettari vitati biologici sono circa 3.000, ma il trend è in crescita.

Scritto il 31-01-2020 da Ufficio stampa | Categoria: vino

Se i consumi globali di vino stentano a crescere, ci sono categorie all’interno del settore che performano meglio di altre, a partire dai vini bio, che hanno visto la propria quota raddoppiare nel mondo dal 2013 ad oggi, con prospettive di crescita importanti.

L’Italia é principalmente un Paese esportatore di vini biologici. Nel 2018 la quota di vino bio prodotto nel Belpaese e consumato dai nostri concittadini è stata di appena l’11,8%. Il resto é stato esportato.

In Italia gli ettari vitati biologici sono circa 105.000 (compresi quelli in conversione), sui 660.000 complessivi. A guidare la classifica delle superfici vitate bio sono in termini assoluti tre regioni italiane: Sicilia, Puglia e Toscana. Nella nostra Regione gli ettari vitati biologici sono circa 3.000, ma il trend è in crescita.

Non necessariamente da un vigneto biologico si ottiene del vino biologico. Perché un vino possa fregiarsi del logo europeo che certifica che è biologico occorre che il vigneto sia coltivato senza l’aiuto di sostanze chimiche di sintesi (concimi, diserbanti, anticrittogamici, insetticidi, pesticidi in genere), ma anche che siano rispettate alcune modalità di vinificazione.

Un produttore di vino biologico può utilizzare circa la metà del numero di coadiuvanti, che invece può utilizzare da regolamento un produttore convenzionale. Il regolamento sul vino biologico ha posto anche dei limiti di solforosa totale che per i rossi secchi non può superare i 100 mg/l, mentre per i bianchi secchi i 150 mg/l.

Oltre ai vini biologici sono in commercio anche vini vegani, biodinamici, naturali, sostenibili e chi più ne ha più ne metta. Ma mentre i vini biologici sono regolati da una normativa comunitaria che obbliga i produttori a sottoporsi ai controlli da parte di Organismi riconosciuti dal Ministero, i vini vegani, biodinamici, naturali, sostenibili ecc.ecc. non sono regolati a livello comunitario e sono certificati da enti privati che sono spesso in concorrenza fra di loro o addirittura sono autocertificati dalle stesse aziende.

Ciò non manca di sollevare dei dubbi su questi vini. Non solo perché non ci sono soggetti pubblici che si pongono a loro garanzia, ma anche perché soltanto l’Unione europea ha competenza sulle etichette del vino e può stabilire quali indicazioni e designazioni vi possono essere riportate. Di conseguenza un vino dovrebbe poter essere messo in commercio con la dizione vegano, biodinamico, naturale, sostenibile solo se e quando la Unione Europea ne definirà in modo preciso i limiti e le caratteristiche e lo collegherà a sistemi di certificazione, così come è avvenuto per il vino biologico.

Il proliferare di certificazioni risponde all’esigenza di andare incontro ad una platea di consumatori sempre più frammentata, che ricerca in un marchio un prodotto in cui si riconosce, che risponde al proprio modo di vivere e consumare. Il rischio tuttavia, è che questa tendenza ingeneri confusione nel consumatore e ponga sullo stesso piano certificazioni pubbliche e private, rilasciate dopo controlli rigorosi o solo dopo la compilazione di un modulo.

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