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Il mercato non può reggersi sul localismo esasperato

Scritto il 11-10-2017 da Ufficio stampa | Categoria: Consumi

L’export agroalimentare italiano nel 2016 ha totalizzato 30,9 miliardi di euro. Quasi i due terzi delle esportazioni hanno interessato i Paesi UE. Lincidenza dei mercati extra-Ue è stata pari al 36%. L’ olio d’oliva, con il 65%, ed il vino, con il 48%, sono i prodotti italiani che maggiormente dipendono dai Paesi Terzi.

È quanto é emerso dall’intervento di Denis Pantini, direttore area agroalimentare Nomisma spa all’evento di presentazione di “Grow!”, l’Action Tank di Agrinsieme, Coordinamento nazionale che riunisce Cia, Confagricoltura, Alleanza delle Cooperative e Copagri, focalizzato sul futuro degli accordi di libero scambio per il settore agroalimentare.

Un contributo all’export è arrivato dai 30 accordi già in vigore con Paesi Terzi, mentre 43 lo sono in via provvisoria (come quello con il Canada) e altri 20 risultano in fase di negoziato (come quelli con il Giappone, la Nuova Zelanda, il Mercosur).

Pur non essendo ancora risolto il problema di come tutelare efficacemente, nel quadro degli accordi di libero scambio, le indicazioni geografiche, è evidente che le nostre imprese, per crescere, devono obbligatoriamente ricercare opportunità all’estero. Viviamo una società mercantile, che ci piaccia o meno. Il mercato non può reggersi sul localismo esasperato e sull’autarchia assoluta.

La filiera corta, caratterizzata da un numero limitato di passaggi produttivi, ha molti buoni motivi. La stessa Cia ha promosso il progetto “La spesa in campagna” perché è convinta del valore economico e sociale delle filiere corte e cortissime, che portano al contatto diretto fra il produttore e il consumatore, ma l’orizzonte di molta parte delle nostre imprese agricole ed alimentari sono ormai, necessariamente, i mercati internazionali, stante anche un mercato domestico con dinamiche di crescita poco significative.

Nel corso degli ultimi anni la globalizzazione, le logiche di mercato, le politiche commerciali non solo delle grandi industrie, ma anche di tanti piccoli e medi produttori agricoli, hanno distanziato geograficamente sempre di più i produttori ed i consumatori. Recuperare, ove é possibile, un rapporto più stretto tra produttori e consumatori è giusto, ma il ritorno ad un mondo ante globalizzazione è impensabile. Puntare sull’ export con la forza del Made in Italy é la strategia vincente per ridare slancio al nostro agroalimentare. I risultati già positivi potrebbero essere ancora migliori se i temi della contraffazione e dell’Italian Sounding ricevessero le adeguate attenzioni e priorità. I fenomeni della contraffazione e dell’Italian sounding arrecano al made in Italy un danno stimato in crica 60 miliardi di euro.

Lodovico Actis Perinetto -Presidente regionale Cia

 

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