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Stefano Francia, presidente Agia-Cia, per aziende sovvenzioni dirette dello stato e credito dedicato anche in vista del dopo emergenza.
Scritto il 10-04-2020 da Ufficio stampa | Categoria: agroalimentare
Non può che essere l’emergenza sanitaria, le ricadute sulla filiera agricolo-alimentare e le conseguenze sociali il nocciolo di questa intervista di Letizia Martirano con Stefano Francia, presidente dei giovani di Cia-Agricoltori Italiani. Francia e’ molto coinvolto, anche in ambito europeo, nel dibattito sulle sfide dell’agricoltura del futuro e particolarmente sensibile – anche perché presidente del Condifesa di Ravenna – alle questioni che riguardano la gestione dei crescenti rischi che il settore corre per la molteplicità di avversità che colpiscono le colture.
Condivide quanto sostiene il Rapporto Ismea circa il fatto che l’agroalimentare italiano sta tenendo nonostante le tante difficoltà nelle prime settimane di diffusione del Coronavirus?
L’analisi di Ismea da conto di un prevedibile cambiamento nel settore agroalimentare, evidente e diretta conseguenza di un nuovo stile di vita richiesto dal governo ai cittadini per contenere il Coronavirus. Siamo in una fase insolita per il Paese e per il mondo intero. Possiamo vederla come transitoria e momentanea, ma anche come spartiacque verso assetti organizzativi alternativi e diversificate modalità di scelta, acquisto e consumo. E’ una situazione che va monitorata, senza lasciare il timone durante la tempesta.
Come?
Per farlo occorre andare oltre il dato, comunque positivo, per affrontare con lucidità le criticità emerse, settore per settore. Qualche esempio. E’ vero che i cittadini stanno scegliendo il negozio di prossimità ma, allo stesso tempo, tanti agricoltori che fanno vendita diretta nei mercati o con botteghe proprie sono al momento inattivi per disposizioni nazionali e regionali. Il sistema agrituristico e, con esso, le fattorie didattiche ferme, è al chiodo. Il che obbliga i produttori a cercare nuova collocazione per i propri prodotti che difficilmente si trova se non era già puntato sulla diversificazione. Il settore olivicolo non sta soffrendo perché non è stagione ma soffre l’ortofrutta, ormai in fase di raccolta ed estremamente a rischio per la carenza di manodopera straniera. Per non parlare del florovivaismo: 24 mila aziende del settore che con 2.5 miliardi di fatturato rappresentano il 5% della produzione agricola nazionale. In piena primavera, sono stati a rischio il 60% dei ricavi annuali dell’intero sistema con perdite fino al 100%.
La situazione è cambiata?
Nelle ultime settimane, anche grazie ad un pressing importante fatto nei confronti delle istituzioni, sono stati raggiunti risultati significativi come l’autorizzazione alla vendita di fiori e piante, poi consentita anche al dettaglio. Primi passi che il Governo deve rafforzare però con aiuti concreti ai florovivaisti, valorizzando la produzione italiana nel medio e lungo periodo, intervenendo anche sulla vendita in ipermercati e supermercati. L’invito a tutti è a scegliere piante Made in Italy.
Quali altri settori sono in difficoltà secondo lei?
Per effetto poi della chiusura di alberghi, ristoranti e agriturismi sia a livello nazionale che internazionale, non sta andando bene neanche a prodotti come il vino con eccesso di giacenza di prodotti in cantina a ridosso della prossima vendemmia e che vede in crisi percentuali rilevanti dei flussi complessivi di export. La filiera del vino ha chiesto una forte flessibilità nelle misure esistenti, un tavolo vino al Mipaaf e un Piano strategico di sostegno all’export vitivinicolo nazionale.
La zootecnia in che situazione è secondo le analisi della Cia?
Il settore avicolo sta registrando un aumento degli acquisti. Questo perché’ è una filiera integrata e poco dipendente dall’estero. Di contro, invece, il comparto bovino non riesce a soddisfare la domanda domestica e ha eccedenza di tagli destinati a ristoranti ed export. Le cose non vanno per niente bene per il lattiero caseario con criticità ovvie per il fresco, formaggi e latte. Le famiglie scelgono sempre di piu’ la lunga conservazione, mentre noi continuiamo ad insistere sull’importanza alimentare del fresco.
Cosa bisognerebbe fare per il latte?
E’ il momento opportuno per facilitare la trasformazione del fresco in UHT in genere di provenienza straniera. Il problema importazioni è esploso per via delle speculazioni della grande distribuzione che acquista latte estero, il cui prezzo è più basso per via del minor costo della manodopera e dei minori controlli. Le aziende italiane dovrebbero acquistare dagli allevatori italiani e dovremmo rivedere le logiche dell’intera filiera.
E’ da queste constatazioni che nasce l’appello di Cia #Gdocompraitaliano?
Esattamente. Sugli scaffali, infatti, ci sono ancora troppi prodotti da Francia, Spagna, Germania e Olanda. Noi stiamo insistendo perché si privilegino approvvigionamenti da aziende agricole italiane, in grado di garantire, in qualsiasi momento, qualità, tracciabilità dei prodotti e sicurezza alimentare. E’ strategico per la stessa grande distribuzione garantirsi un approvvigionamento “di prossimità” anche in un’ottica di “gestione dei rischi”. Pensiamo per esempio, al tema dei trasporti su lunghe distanze. Un solido tessuto d’imprese agricole e’ sicurezza e garanzia per tutti i cittadini e anche per la stessa Grande distribuzione. Ipermercati, supermercati e negozi di generi alimentari devono consentire, in questo momento di emergenza, una vera ripresa dell’agricoltura italiana che tra l’altro non sta lesinando sacrifici e impegno. Certo è così perché’ non puoi dire alle piante di non fare frutti, ne’ agli animali di smettere di produrre, ma anche perché’ è nel Dna degli agricoltori e allevatori. Al primo posto la salvaguardia dei beni alimentari di prima necessità.
Quali provvedimenti vanno presi per assicurare la tenuta economica delle imprese coinvolte nel lockdown?
Alle imprese agricole serve immediata liquidità. Occorre massima flessibilità e proroghe, anticipo dei pagamenti per il 2020 e redistribuzione degli arretrati della Pac, revisione dei piani di sviluppo e definizione di un Piano Ue per l’Agricoltura, con misure straordinarie per la tenuta dell’agricoltura in questa fase emergenziale. C’è la necessità di un nuovo testo normativo come Cia ha gia’ proposto, che includa tutte le misure straordinarie e le risorse finanziarie necessarie alla sopravvivenza del settore agricolo e agroalimentare. In definitiva: sovvenzioni dirette da parte dello Stato e modalità di accesso al credito dedicate anche in vista di un dopo emergenza.
Ha parlato di settore ortofrutticolo a rischio per la carenza di manodopera straniera. E’ reale?
I cittadini rischiano di trovare gli scaffali vuoti se non c’è abbastanza manodopera a raccogliere i prodotti di stagione nei campi e nelle serre, ad occuparsi di trapianti e operazioni culturali come diradamenti e potature. Siamo nel periodo clou dell’anno che significa 370 mila lavoratori regolari che arrivano per lo più dall’Est: Romania, Albania e Bulgaria. Ora sono stati prorogati i permessi di soggiorno per lavoro stagionale in scadenza, la Commissione Ue ha pubblicato nuove linee guida per facilitare gli spostamenti all’interno dei Paesi europei, ma certo il problema non e’ risolto. Va detto, infatti, che resta da sciogliere anche il nodo mobilità interna tra settori produttivi. La Cia, nelle settimane scorse, ha chiesto al Governo che vengano introdotti strumenti agili per recuperare lavoratori da impiegare nei campi. Parlo dei ticket, simili a quelli utilizzati per le baby sitter. Inoltre, in assenza del “decreto flussi”, con cui ogni anno vengono stabilite le quote d’ingresso di cittadini extracomunitari che possono entrare in Italia per motivi di lavoro subordinato, autonomo o stagionale, servono misure immediate per consentire alle imprese di reperire manodopera.
Anche il settore agricolo sta affrontando il problema sicurezza dei lavoratori nei campi. Quali sono le priorità in questo senso?
Cia-Agricoltori Italiani ha sollevato, da subito, l’urgenza di reperire per gli agricoltori, 1,3 milioni mascherine al giorno. E’ quanto serve agli autonomi e ai loro dipendenti che, per ovvie ragioni, non possono usufruire di altre modalità di lavoro più sicure, ma devono poter continuare a produrre fuori dalle abitazioni, per assicurare il fabbisogno alimentare necessario e sufficiente al Paese perché’ possa andare avanti. Governo e Protezione Civile devono dare garanzie al settore e considerarlo tra i principali destinatari del primo rifornimento utile di mascherine, guanti e tutti il necessario per lavorare in sicurezza.
Altre condizioni avverse stanno mettendo i bastoni tra le ruote agli agricoltori. Le gelate tanto per cominciare. Come presidente di un consorzio di difesa, qual è la risposta da dare?
Le gelate al Nord stanno facendo perdere molta produzione e questo inciderà non poco sui bilanci aziendali. Tutto questo, in piena emergenza Coronavirus, vuol dire per molti, rischio chiusura. Dalle calamità però, ci si puo’ e ci si deve tutelare sottoscrivendo polizze per danni da gelo, grandine, eccesso di pioggia e siccità. Allo stesso tempo come consorzio stiamo pensando di investire in fondi di mutualità per le avversità. E’ importante investire sulla gestione del rischio e su cio’ stanno spingendo molto anche le politiche Ue. Assicurare l’azienda e’ strategico per avere costanza del reddito e sviluppare azioni che vadano verso la resilienza.
Cosa serve per incentivare la gestione del rischio?
Uno snellimento burocratico del sistema contributivo: per ricevere il sostegno europeo attualmente si devono compilare 4 documenti: manint, pai, domanda di sostegno, domanda di pagamento. e tutti devono essere perfetti altrimenti il sistema agea/sian si blocca su anomalie spesso irrisolvibili. Vera semplificazione sarebbe portarli a un solo documento, per esempio aggregandoli. Poi è ancora aperta la problematica delle rese storiche sui pai. Faccenda ancora aperta con contributi non coerenti con i valori presenti in campagna. In ultimo, ma non meno importante, l’adozione dello Standard Value che potrebbe risolvere il problema. C’è la necessità di un fronte comune per questa emergenza climatica, serve promozione del Psrn comunitario, spiegando i contributi sulla gestione del rischio, oltre che aggregazione e creazione di fondi mutualistici tra agricoltori per reggere gli impatti sui redditi. L’argomento e’ importante e lo si vive tutti i giorni nelle nostre imprese.
Lei rappresenta i giovani agricoltori di Cia. Cosa può rappresentare questo momento storico per le nuove generazioni di imprenditori?
Una sfida. Siamo cresciuti in una società fluida. Non abbiamo le cicatrici delle grandi crisi, ma ci siamo formati in un settore che non vive certo di stabilità e comunque agisce in un contesto economico e sociale vulnerabile, con poche certezze e tanta precarietà. Ciò si è rivelato per certi versi, un fattore a nostro vantaggio. Questa situazione ovviamente spaventa, ma l’agricoltura ci ha già insegnato che sugli allori non si può dormire mai. Chi ci ha tramandato il mestiere, i nostri nonni figli della guerra vera, ha sedimentato in molti di noi anche valori come la pazienza e la resilienza, l’umiltà e l’oculatezza. Siamo gli stessi che stavano riscoprendo il senso vero della sostenibilità, privilegiando l’economia della conoscenza e la sua condivisione. Non lo stiamo dimenticando. Il punto non e’, se usciremo o meno da questo incubo, ma come. Se saremo in grado di viverlo come opportunità per affinare il nostro modo di fare le cose. E’ chiaro che nell’immediato vince la concretezza, quindi ci siamo messi subito a disposizione condividendo con Cia e le sue altre associazioni da Donne in Campo a Turismo Verde e la Spesa in Campagna, per essere di supporto in primo luogo agli anziani e alle categorie più fragili.
Si riferisce all’iniziativa “Dal campo alla tavola” per la consegna a domicilio dei prodotti agroalimentari?
Sì, era la risposta più essenziale e importante da dare nell’immediato. L’emergenza ha esasperato criticita’ tutte italiane. La fragilità nelle sue aree interne, prive di adeguate infrastrutture fisiche e digitali, senza parlare del sistema sanitario e dei servizi per la cura e l’assistenza agli anziani. Senza dimenticare pero’ che, nonostante le difficoltà, ci sta salvando anche il sistema sanitario italiano, il cui carattere pubblico e universalistico va preservato assolutamente e riportato al centro proprio in virtu’ dell’esperienza che stiamo vivendo. Con il progetto “Il Paese che Vogliamo” Cia-agricoltori italiani sta cercando da mesi di riportare all’attenzione su questi temi. L’Italia intera è chiusa in casa, gli anziani sono i piu’ soli e bisognosi di supporto, non potevamo chiedergli di venire da noi. Abbiamo deciso di attivarci per consegnare noi frutta, verdura, ma anche piatti tipici e prodotti florovivaistici. Un portale online dedicato https://iprodottidalcampoallatavola.cia.it/, era necessario per aggregare e mappare tutte le aziende disponibili, regione per regione. A questo abbiamo poi affiancato una modalità di acquisto e consegna che tutelasse anche la sicurezza delle persone. Nel frattempo, sui social stiamo raccontando da settimane la nostra vita nei campi. Il modo che abbiamo scelto per dire all’Italia come #noinonciarrendiamo.
