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Non basta l’etichettatura d’origine, per il riso occorre puntare sulle certificazioni di qualità
Scritto il 11-03-2019 da Ufficio stampa | Categoria: Coltivazione erbacee
Nel 2007 la Commissione Europea ha inserito il riso di Baraggia biellese e vercellese nel registro delle Denominazioni di Origine Protette. Per ora è l’unico riso Dop. Poi ci sono i risi Igp, quali il Riso Vialone Nano Veronese.
La Cia propone di estendere le certificazioni Dop e Igp ad un maggior numero di risi nazionali, in modo da premiare la qualità delle nostre produzioni e legare sempre più i nostri prodotti al territorio, visto che l’indicazione obbligatoria dell’origine dei risi, in vigore dallo scorso anno, sembra non abbia avuto un grosso impatto sui prezzi.
E’ vero che il mercato del riso in Italia ha aperto il 2019 con un discreto ottimismo, forte di un generale rialzo dei prezzi, ma questo rialzo riguarda soprattutto i risi da consumo interno ed è principalmente sostenuto dalle minori disponibilità di prodotto presenti nel mercato. In particolare, per quanto concerne il tondo, l’aumento di prezzo è dovuto alla scarsa produzione, calata di 100mila tonnellate nell’ultima annata. La situazione non è quindi tale da indurre ad un eccessivo ottimismo. A ciò si deve aggiungere che la clausola di salvaguardia sull’importazione del riso dai Paesi del Sud-Est asiatico, introdotta poche settimane fa, potrà incidere positivamente solo sul prezzo di alcune varietà di riso come l’Indica,
Le certificazioni di qualità sono la via obbligata per tutelare l’agricoltura italiana e garantire un mercato più equo per i nostri prodotti.
L’Italia é il primo Paese produttore di riso in Europa, con circa 230.000 ettari seminati, che coprono oltre il 50 % dell’intera produzione UE con una gamma varietale del tutto unica. In Piemonte la superficie coltivata a riso supera i 115.000 ettari.