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La filiera corta può essere ….. lunga 70 chilometri
Scritto il 25-10-2018 da Ufficio stampa | Categoria: agroalimentare
La Camera dei Deputati ha approvato la proposta di legge sulla “filiera corta” ed il “chilometro zero o utile”. Si attende ora il passaggio della proposta di legge al Senato per l’approvazione definitiva del testo e per la sua successiva entrata in vigore.
La norma prevede la vendita diretta nei mercati alimentari dei prodotti a chilometro zero o utile, cui si aggiungono i prodotti della pesca freschi, pescati e trasformati a una distanza massima di 70 chilometri rispetto al luogo di vendita, e di quelli a filiera corta, vale a dire venduti con non più di un’intermediazione tra produttore e consumatore.
Con successivo decreto del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari, Forestali e del Turismo saranno istituiti il logo “chilometro zero o utile” e il logo “filiera corta” per i prodotti agricoli e alimentari. Inoltre, verranno stabilite le condizioni e le modalità di attribuzione del logo che sarà esposto nel luogo di vendita diretta, nei mercati, negli esercizi commerciali o di ristorazione. Nonché pubblicato in piattaforme informatiche di acquisto o distribuzione che forniscono i prodotti agricoli e alimentari, all’interno dei locali, anche della grande distribuzione, e in spazi espositivi appositamente dedicati.
La filiera corta ha molti buoni motivi. La stessa Cia ha promosso il progetto “La spesa in campagna” perché è convinta del valore economico e sociale delle filiere corte e cortissime. I prodotti commercializzati e venduti nella stessa zona di produzione sono senz’altro una scelta più salutare, qualche volta anche più conveniente. Ma la filiera corta non va mitizzata. Il nostro sistema agricolo ed alimentare regge perché è capace di rivolgersi ad un mercato molto più vasto di quello locale, che in molti casi corrisponde al mondo intero. L’Italia esporta massicciamente vino, frutta, pasta, formaggi e latticini, salumi e prosciutti, preparazioni di ortaggi-legumi-frutta, ecc. ecc.
Le nostre stesse abitudini alimentari sono tarate su un apporto nutrizionale proveniente da una dieta varia e non ammettono in assoluto il sistema commerciale della filiera corta. Non è pensabile che le banane, o rimanendo in ambito nazionale il Parmigiano Reggiano e il pomodoro pachino, vengano consumati solo dagli abitanti delle strette aree limitrofe.
Recuperare, ove é possibile, un rapporto più stretto tra produttori e consumatori è giusto, ma al giorno d’oggi pensare a una distribuzione del cibo solo nel raggio di 70 chilometri è una ideologia radicale poco applicabile a un contesto globale.