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Ma è davvero cancerogeno il glifosate?

Scritto il 14-07-2017 da Ufficio stampa | Categoria: Senza categoria

Il comitato per la valutazione dei rischi dell’Echa – Agenzia europea per le sostanze chimiche ha classificato il glifosate come non cancerogeno, non mutageno, non tossico per la riproduzione e non genotossico, confermando le valutazioni già espresse da Efsa – Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, Bfr – Federal Institute for risk assessment degli Stati Uniti, Oms – Organizzazione Mondiale della Sanità, Fao – Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura e Pmra – Pest Management Regulatory Agency del Canada.

L’Iarc (International Agency for Research on Cancer), la più “cattiva” nei confronti del glifosate, lo ha inserito nella lista 2A dei possibili cancerogeni, ovvero insieme alle patatine fritte e ai lavori che alterano il naturale ciclo del sonno.In pratica lo Iarc dice che chi beve tutti i giorni un bicchiere di glifosate è probabile, ma non certo, che gli venga il cancro.

Ora la palla torna al centro, con il glifosate che a questo punto pare avere delle chances di superare il vaglio delle Autorità europee e proseguire nella propria vita di erbicida.

Il glifosate è stato introdotto sul mercato da Monsanto nel 1974, ma il brevetto è scaduto nel 2000 e da quel momento è stato commercializzato da diverse aziende del settore in svariate formulazioni. Per la sua efficacia è stato accolto positivamente dagli agricoltori, tanto da essere ancora oggi uno degli erbicidi più utilizzati in agricoltura.

Ma quanto costerebbe produrre a prescindere dall’utilizzo del glifosate? A dare una risposta ci ha provato una ricerca di “Agri2000”, società che si occupa di servizi e ricerche per l’agribusiness, che ha intervistato 350 agricoltori di tutte le regioni d’Italia.

Da questa ricerca emerge che per il 64% degli agricoltori il glifosate è importante o addirittura indispensabile (75% nel caso dei maiscoltori). Inoltre, secondo il 51% dei produttori l’eliminazione del glifosate avrebbe un impatto negativo sulle rese: il -20% nei campi di mais, da cui scaturirebbe una diminuzione dei ricavi di 494 euro per ettaro, il -33% per il grano duro (-399 euro per ettaro), il -27% per la soia (-416 euro per ettaro). E ancora, l’86% dei produttori ritiene che vi sarebbe un aumento delle spese per ettaro, non considerando (nell’80% dei casi), alternative chimiche all’altezza, ma solo meccaniche.

La quasi totalità dei viticoltori facente del campione intervistato (96%) ritiene che l’eliminazione dell’uso di questa sostanza dai disciplinari e la conseguente impossibilità di utilizzarlo, comporterebbe un aumento dei costi mediamente del 177%.

Dal bando del glifosate ci guadagnerebbero quelli che vendono carburante e macchine agricole, aumentando il numero di lavorazioni e di trattamenti in campo, e le industrie chimiche che producono diserbanti meno efficaci del glifosate.

Nonostante i più importanti organismi scientifici internazionali abbiano concluso che il glifosate non sia né cancerogeno, né mutageno, né genotossico, il glifosate continua ad essere nel mirino degli ambientalisti.

Stiamo assistendo negli ultimi anni a un significativo e preoccupante declino della fiducia nei confronti delle competenze scientifiche. Sfiducia alimentata da complottisti in servizio permanente effettivo e da falsi esperti privi di credenziali verificabili.

A contribuire a questo stato di cose c’è il web, che doveva essere la nuova frontiera della a condivisa ed ha generato invece l’effetto contrario: non solo una diffusa conoscenza superficiale, ma anche scetticismo nei confronti dei veri esperti. Molti si sentono esperti e pretendono di dire la loro perché hanno fatto qualche ricerca su Google e consultato Wikipedia.

Diffidare immotivatamente nei confronti di chi ha studiato ed approfondito i problemi e della scienza in genere é molto pericoloso e non promette niente di buono per il futuro, non solo del nostro Paese.

 

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