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Ceta sì o Ceta no?
Scritto il 22-06-2017 da Ufficio stampa | Categoria: Europa
E’ arrivato all’esame del Senato l’accordo “Comprehensive Economic and Trade Agreement” (CETA), firmato tra l’Unione europea e il Canada nell’ottobre 2016.
Coldiretti e CGIL, insieme a Slow Food, Arci e Acli Terra ed a varie associazioni dei consumatori e degli ambientalise hanno hanno redatto un documento congiunto per stigmatizzare quelle che vengono da esse viste come fortissime criticità all’interno dell’accordo trattato, ed hanno prima inviato una lettera e poi incontrato il Presidente del Senato per chiedergli di attivarsi per impedire che lo stesso Senato ratifichi l’accordo.
Per Coldiretti, CGIL, Slow Food, ecc.ecc. l’accordo é “una tempesta devastante per la nostra agricoltura”. Di diverso parere la Cia, secondo la quale il Ceta rappresenta una risorsa e un’opportunità importante per il sistema agroalimentare Made in Italy. Per Paolo De Casto, Primo Vice Presidente della Commissione agricoltura del Parlamento europeo, il Ceta é “uno degli accordi più ambiziosi e completi mai conclusi tra UE e paesi terzi”.
L’accordo poteva essere migliore? Forse. Elimina tutte le criticità nei rapporti tra Europa e Canada? Certamente no. Prima fra tutte le importazioni di grano duro dal Canada a prezzi stracciati, destinate alla produzione di pasta, che hanno messo in ginocchio i nostri produttori ed hanno provocato una forte riduzione delle semine di grano duro in Italia.
La Cia é seriamente preoccupata per l’aumento delle importazioni di grano duro dal Canada ed ha chiesto al Ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina di adoperarsi per mettere in atto tutte le misure di salvaguardia contemplate per il grano italiano. Ha chiesto anche al Governo di fare pressione sulla Ue perché dia il via libera al decreto dai Ministri delle Politiche agricole Maurizio Martina e dello Sviluppo Economico Carlo Calenda che impone l’introduzione in Italia dell’obbligo di indicazione di origine della materia prima per la pasta. L’obbiettivo é costruire e valorizzare delle filiere della pasta tutte italiane.
Se sulle importazioni di grano duro dal Canada é necessario mantenere alta l’attenzione, per molti altri aspetti il Ceta è un passo in avanti rispetto al passato.
In base al Ceta, 41 nostri prodotti a denominazione, che rappresentano il 98% del nostro export di Dop e Igp in Canada, saranno protetti, mentre altri prodotti potranno continuare ad essere venduti utilizzando denominazioni che imitano le nostre a condizione che sulle etichette di questi prodotti venga apposta l’indicazione obbligatoria dell’origine, senza evocazioni, quali bandiere o immagini di territori notoriamente riconosciuti.
Sarebbe stato certamente meglio che tutte le nostre denominazione fossero protette, ma é indubbio che si é fatto un passo in avanti. In Canada sulle Dop e Igp regnava l’assoluta anarchia e non c’era nessuna possibilità di controllo delle evocazioni. Con il Ceta almeno sono state stabilite delle regole.
Bruxelles ha confermato poi la sua intenzione non solo di “garantire la rigorosa applicazione della protezione delle indicazioni geografiche previste nell’accordo”, ma si impegnata anche, al più tardi entro cinque anni, a “fare uso dei meccanismi adeguati previsti dall’intesa… per conseguire, per tutte le indicazioni geografiche Ue elencate” nel Ceta, “il medesimo livello di protezione”.
Il Ceta prevede inoltre che i prodotti canadesi importati in Europa debbano rispettare gli standard sanitari ed ambientali stabiliti dall’Ue. Il Ceta contiene infatti un allegato (l’allegato 5-E) relativo alle norme sanitarie e fitosanitarie per le importazioni/esportazioni, in forza del quale entrambi i contraenti si impegnano a riconoscere le reciproche misure di sicurezza e le autorità di controllo specifiche e ad adeguare le proprie esportazioni ad esse. In sostanza: ciò che è vietato, rimane vietato e ciascuno dovrà rispettare i limiti altrui.
Anche per quanto riguarda gli ogm non cambia nulla. Gli ogm autorizzati (ora e in futuro) potranno essere esportati nell’Ue dal Canada, mentre quelli non autorizzati dovranno trovare altri sbocchi commerciali. Ogni Stato, inoltre, conserverà la possibilità di autorizzarne o meno la coltivazione sul proprio suolo. Non ci sarà nessun rischio aggiuntivo derivante dall’accordo.
Non è vero quindi che il Ceta abbassi gli standard qualitativi e di sicurezza europei. E non é neppure vero che sia un regalo alle lobby industriali. Dal Ceta trarranno benefici anche i produttori di vino, di olio extravergine e di prodotti lattiero caseari, non tutti necessariamente grandi industriali, ma spesso cooperative e piccoli e medi imprenditori. La semplificazione delle procedure doganali e l’azzeramento dei dazi, ad esempio, non potrà che agevolare i produttori vinicoli piemontesi, molti dei quali orientati verso l’export. Il Canada per l’Italia vale 70 milioni di litri di vino e 400 milioni di dollari.
E se anche le grandi imprese trarranno dei vantaggi dal Ceta non é un fatto negativo. L’obbiettivo del mondo agricolo non è impedire alle grandi imprese alimentari di espandere il made in Italy e rafforzare la propria presenza in Canada (l’Italia è il primo esportatore europeo di prodotti agroalimentari in Canada in termini di valore, il secondo per numero di prodotti), ma far sì che ciò si traduca in una migliore remunerazione dei prodotti agricoli ed in una più equa distribuzione del reddito lungo la filiera. La ricerca di equilibrio nella distribuzione del reddito lungo la catena produttiva è una questione annosa che prescinde dalla firma del Ceta e va risolta attraverso un più corretto rapporto tra parte industriale e parte agricola.