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Latte e formaggi, un nuovo capitolo nel rapporto di trasparenza tra produzione e consumo, ma l’indicazione dell’origine non è la panacea di tutti i mali del comparto

Scritto il 20-04-2017 da Ufficio stampa | Categoria: Latte

Con l’indicazione del paese di mungitura e di quello di condizionamento o trasformazione viene scritto un nuovo capitolo nel rapporto di maggiore trasparenza tra produzione e consumo nel sistema agroalimentare.

Si tratta di un cambiamento fondamentale soprattutto nel mercato italiano dei formaggi, che vedeva sinora tutelata l’origine solo per i formaggi Dop e Igp, e che ora vedrà complessivamente tutelati oltre un milione di tonnellate di formaggi prodotti e commercializzati in Italia.

Secondo i dati di Ismea il provvedimento consentirà al consumatore di conoscere l’origine delle materie prime di potenziali ulteriori 510.000 tonnellate di formaggi non Dop prodotti e commercializzati in Italia, che si aggiungeranno alle 513.000 tonnellate di formaggi già certificati.

L’indicazione obbligatoria dell’origine di latte e formaggi non è però la soluzione di tutte le problematiche che interessano il comparto, tanto più che al decreto italiano non corrisponde un quadro normativo analogo in sede europea. La questione principale rimane quella di garantire un reddito equo a chi produce. Oggi i ricavi dei produttori non compensano i costi di produzione del latte ed é una questione che va risolta attraverso una più equa distribuzione del valore lungo la filiera.

Le istituzioni comunitarie per lungo tempo hanno mostrato una tendenziale contrarietà rispetto all’obbligatorietà delle indicazioni di provenienza dei prodotti e ai marchi d’origine, poiché ritenevano che riconoscere a un alimento una connotazione di qualità che prescindesse dalle sue caratteristiche concrete e fosse legata a un fattore immateriale come l’origine potesse pregiudicare il mercato unico europeo, limitando la libera circolazione delle merci.

Con il passar del tempo questa contrarietà è progressivamente diminuita sia su pressione dei produttori, a tutela dei propri interessi (il “falso” Made in Italy è un grave danno per il nostro agroalimentare), sia dei consumatori che giustamente pretendono informazioni adeguate e trasparenti sugli alimenti, necessarie per effettuare scelte consapevoli.

Etichetta d’origine e tracciabilità, per la Cia, vanno estesi a tutti gli alimenti. Per i prodotti trasformati devono essere indicati non solo la provenienza geografica della materia prima agricola utilizzata, ma deve anche essere reso trasparente l’intero percorso compiuto dalla materia prima e specificato il luogo dell’ultima lavorazione sostanziale, in modo che i consumatori possano distinguere tra ciò che è davvero italiano e ciò che è soltanto trasformato e confezionato in Italia.

Gabriele Carenini – Vice Presdente Cia Piemonte

 

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