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Ogm, una questione complessa

Scritto il 31-03-2017 da Ufficio stampa | Categoria: Ogm

L’Italia ha vietato la coltivazione del mais Mon810, appellandosi al principio di precauzione previsto dal regolamento Ue sulla sicurezza alimentare, il quale stabilisce che “qualora a seguito di una valutazione delle informazioni disponibili, venga individuata la possibilità di effetti dannosi per la salute ma permanga una situazione d’incertezza sul piano scientifico, possono essere adottate le misure provvisorie di gestione del rischio necessarie per garantire il livello elevato di tutela della salute”

La domanda che sorge spontanea è la seguente: perché un prodotto ritenuto potenzialmente dannoso per la salute, nei cui confronti si applica il principio di precauzione, non può essere coltivato in Italia, ma può essere liberamente importato? Se un prodotto è potenzialmente dannoso per la salute, dovrebbe essere dannoso sempre, sia se coltivato in Italia, sia se importato.

L’Italia importa e consuma decine di milioni di tonnellate di mais e di soia ogm e l’87% di tutti i mangimi venduti in Italia contiene ogm. Anche quest’anno l’Italia acquisterà all’estero mangimi, quasi tutti ogm – per un valore di circa tre miliardi di euro – necessari a produrre il Made in Italy che esportiamo ovunque.

In realtà il principio di precauzione nulla o poco c’entra con la scelta italiana di vietare la coltivazione degli ogm.  “La nostra scelta di escludere tutto il territorio italiano dalla coltivazione degli ogm guarda alle caratteristiche del nostro modello agricolo, che vince e si rafforza puntando sempre di più sulla qualità”, ha spiegato il ministro Martina. Il Ministro teme cioé che, autorizzando la coltivazione degli ogm, le nostre produzioni agroalimentari possano subire un grave danno d’immagine, ma nel contempo lo stesso Ministro sa che senza ogm crollerebbe l’intera zootecnia nazionale, per cui nessun limite viene imposto all’importazione degli ogm.

Si possono capire le ragioni della scelta del ministro Martina, ma anche di tutti i Ministri che lo hanno preceduto, di vietare la coltivazione degli ogm, ma a farne le spese sono i produttori italiani di “mais convenzionale”. Quest’ultimo  non di rado viene pagato meno del “mais transgenico”, nonostante i costi di produzione siano superiori, tanto che i nostri produttori di “mais convenzionale” sono sempre più in difficoltà a mantenere un certo grado di redditività dalla loro attività imprenditoriale. La continua diminuzione della superficie coltivata a mais ne è una prova.

Fino a quindici anni fa l’Italia era autosufficiente per il mais. Poi dopo il 2001 è cominciata una fase di lento declino. Nel 2004 abbiamo importato il 10% del mais di cui avevamo bisogno, diventato poi il 20% nel 2009, il 30% nel 2012. Per la campagna in corso si prevede un tasso di auto-approvvigionamento del mais da granella inferiore al 60% e valori di import netto che dovrebbero sfiorare i 5.000 milioni di tonnellate. Il risultato è che uno dei cereali di punta della nostra agricoltura rischia di mettere in crisi il sistema agroalimentare Made in Italy.

Un modo per salvaguardare la nostra produzione di “mais convenzionale” potrebbe essere quello di imporre che non solo i prodotti che contengono ogm, ma anche gli alimenti nella cui filiera produttiva entrano gli ogm, pur in assenza delle relative tracce, siano tenuti a far figurare sull’etichetta la dicitura che per la loro produzione sono stati utilizzati organismi geneticamente modificati. In subordine, che almeno sia vietato utilizzare gli ogm per i prodotti dop ed igp. Solo così la scelta dell’ogm free acquisterebbe un valore ed un significato precisi, e garantirebbe un po’ più di reddito agli agricoltori che rinunciano a coltivare gli ogm.

Lodovico Actis Perinetto – Presidente Cia Piemonte

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