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Dino Scanavino: in queste condizioni non seminiamo il grano

Scritto il 28-07-2016 da Ufficio stampa | Categoria: Coltivazioni erbacee

“Se le quotazioni non tornano a salire, riconoscendo al frumento Made in Italy il giusto valore, faremo lo sciopero della semina”. L’annuncio è arrivato dal presidente nazionale della Cia-Agricoltori Italiani Dino Scanavino, oggi in conferenza stampa a Roma, aprendo ufficialmente la fase di mobilitazione della Confederazione su tutto il territorio nazionale. Presidi, sit-in e blocco delle Borse Merci nelle maggiori città d’Italia per dare un ultimatum rispetto alla campagna di semina 2017, ma anche per fare una proposta al Governo: “Stop alle importazioni di grano per 15/20 giorni, così da ridare fiato agli agricoltori in crisi”.

“In queste condizioni noi non seminiamo -ha spiegato Scanavino-. Anche perché attualmente gli agricoltori producono grano di qualità ma in perdita (17/18 euro al quintale per il frumento duro, largamente al di sotto dei costi di produzione) e la situazione non può restare questa. L’Italia ha una forte tradizione cerealicola, ma le speculazioni di mercato la stanno spazzando via”.

Secondo la Cia infatti, per il grano si è andata determinando una situazione paradossale, che ha visto l’immissione nel mercato di ingenti quantità di grano importato proprio nel periodo della trebbiatura, provocando il tracollo dei prezzi e aumentando a dismisura il già ampio divario tra costo del frumento e prezzo del pane e della pasta. Ed è qui che entra il gioco la proposta della Confederazione di bloccare l’import per due o tre settimane, così da permettere lo stoccaggio del grano prodotto e svuotare i silos. In attesa che le azioni annunciate dal Governo la scorsa settimana trovino attuazione e i prezzi risalgano.

“Si sta assistendo a comportamenti di vero e proprio sfruttamento -ha detto Scanavino-. Oggi il raccolto di 6 ettari seminati a grano basta appena per pagare i contributi di una famiglia media agricola. Le aziende sono oggetto di una speculazione senza precedenti, con sistema industriale e commerciale che impongono ai produttori condizioni inaccettabili. Gli stessi Consorzi Agrari non stanno facendo il loro lavoro perché, anziché stoccare il prodotto in attesa di prezzi più remunerativi, lo immettono sul mercato accrescendo ancora di più la pressione sui prezzi”. In più, ha concluso il presidente della Cia, “gli agricoltori sono costretti a competere con importazioni ‘spregiudicate’ dall’estero (+10% solo nei primi 4 mesi del 2016), da parte di operatori commerciali che stanno svuotando le scorte in condizioni di dumping”. Oltretutto mentre in Italia si registra una produzione straordinaria di 9 milioni di tonnellate di grano, a fronte di una media annua di 7 milioni di tonnellate (+29%)”.

Ma se gli agricoltori ci perdono, a guadagnarci da questa situazione sono solo le grandi multinazionali che importano grano dall’estero per produrre all’insegna di un’italianità che non è reale, senza preoccuparsi di cosa conterrà la farina e di cosa mangeranno i consumatori.

Ecco perché, ed è l’altra proposta della Cia, serve al più presto un progetto strutturato di valorizzazione del frumento italiano di qualità. Non è più possibile che il frutto del lavoro di un anno venga così svenduto. Oggi 100 chili di frumento valgono quanto 5 chili di pane: un “gap” intollerabile e contro la logica delle cose, che non può lasciare indifferenti gli stessi consumatori, i quali tra l’altro non traggono alcun vantaggio nello scontrino da questa “crisi del grano”.

Occorre, quindi, favorire una maggiore aggregazione dell’offerta e incentivare da subito contratti di filiera capaci di garantire una più equa redistribuzione del valore e ottenere la massima trasparenza nella formazione del prezzo. Misure non più rinviabili per permettere un cambio di passo e sostenere la redditività per gli agricoltori e la qualità del vero Made in Italy per i consumatori.

Qualità che oggi è stata rappresentata da un testimonial d’eccezione del mondo del pane e della pizza Made in Italy, ovvero il celebre “panettiere” Gabriele Bonci.

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