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LIBERO SCAMBIO SI O NO? IL TTIP AL CENTRO DELLE POLEMICHE

Scritto il 13-04-2015 da Ufficio stampa | Categoria: Consumi

La giornata del 18 aprile in tutto il mondo sarà dedicata all’azione contro i trattati di libero scambio . Tutti i cittadini sono invitati a partecipare” è l’invito rivolto ai cittadini da Marta Messi di Slow Food su La Stampa del 12 aprile, che precisa: “Se dall’esportazione di beni come auto e tecnologia potrebbero esserci importanti guadagni economici, nel caso del cibo filiere più lunghe portano con sè anche meno trasparenza, meno buon senso nella gestione delle risorse ambientali e meno economia locale, con una preoccupante spinta, caratteristica dell’intero TTIP, all’industrializzazione della produzione agricola”.

Il TTIP, acronimo di Transatlantic Trade and Investment Partnership, é il Trattato che dovrebbe far compiere alla globalizzazione uno storico e decisivo passo in avanti unendo Europa, Canada e Stati Uniti in un unico mercato di quasi un miliardo di consumatori.

E’ singolare e fuori dalla realtà la critica alle filiere lunghe del cibo, quando è notorio che è proprio l’export a trainare il nostro sistema agroalimentare, garantendone la tenuta, mentre i consumi interni continuano a risentire della difficile congiuntura nazionale. Nel 2014 l’export agroalimentare italiano ha registrato un record storico, raggiungendo il valore di 34,3 miliardi, con un aumento del 2,4% rispetto all’anno precedente. Nelle filiere lunghe, per altro, possono trovare la giusta valorizzazione anche i prodotti locali, la cui internazionalizzazione è utile anche in chiave turistica e di promozione dei nostri territori all’estero.

Tra Usa ed Europa esistono ancora numerosi punti di dissenso, ma le eventuali contestazioni al TTIP vanne mosse nel merito e non sulla base di pregiudizi ideologici contro i trattati di scambio, perché la globalizzazione dei mercati non puo’ essere arrestata, salvo voler mettere le brache alla storia. Quel che crea incertezze e paure è la globalizzazione dei mercati senza regole. E’ assolutamente necessario che la globalizzazione venga governata meglio ed orientata verso una maggior giustizia. Il TTIP va in questa direzione? Questa è la vera questione e non se i trattati di scambio, siano cosa buona o cattiva. Se i contenuti sono buoni i trattati sono buoni. Se i contenuti sono cattivi i trattati sono cattivi.

Dopo Germania e Francia – ricorda Paolo De Castro, che ricopre l’incarico di relatore permanente sul TTIP  nella commissione Agricoltura del Parlamento europeo –  il mercato statunitense rappresenta la terza destinazione dell’export agroalimentare italiano. In particolare per alcuni comparti come il vino, l’olio, i formaggi, i salumi e i prosciutti, rispetto ai quali l’Italia detiene il primato delle importazioni Usa. Il nostro Paese esporta quasi 3 miliardi di euro verso gli Stati Uniti, circa il 9% del totale esportazioni agroalimentari. Numeri importanti, dai quali si evince l’importante spazio di opportunità per il sistema agroalimentare nazionale che potrebbe derivare da un esito positivo del negoziato transatlantico”.

Intervenendo qualche settimana fa all’assemblea dell’Aicig (Associazione italiana dei consorzi per le indicazioni geografiche), De Castro ha anche denunciato la presenza di “moltissima gente” che “paga organizzazioni per remare contro il TTIP”. L’europarlamentare è convinto che ci siano “gruppi politici ed economici” interessati a “far saltare il trattato” commerciale, sia in alcuni Paesi europei, perché “vorrebbero fare accordi separati” con gli Usa, sia fuori dall’Unione.

I rappresentanti delle organizzazioni agricole, ascoltati in Commissione Agricoltura della Camera, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulle ricadute sul sistema agroalimentare italiano del TTIP, hanno espresso qualche preoccupazione per l’andamento un po’ troppo “misterioso” della trattativa, ma anche la speranza che il trattato diventi un’opportunità per il made in Italy, salvaguardando qualità e sicurezza alimentare.

Agrinsieme, il coordinamento Confagricoltura, Cia, Alleanza delle cooperative italiane, ha rimarcato l’importanza del negoziato che interessa un mercato di quasi un miliardo di abitanti del pianeta e due blocchi che attivano 6/7 mila miliardi di euro di scambi a livello mondiale, e proprio per questo rappresenta in primo luogo un’opportunità per finalizzare gli interessi offensivi della Ue e dell’Italia anche in campo agricolo ed agroalimentare.  

La questione della filiera corta va riportata con i piedi per terra. Il cibo a km zero è un’ottima cosa, ma il corso dell’economia mondiale é fondato  irreversibilmente sugli scambi. I difensori del Trattato sottolineano anche che solo mettendosi insieme America ed Europa potranno fare fronte alla concorrenza delle nuove economie emergenti, imponendo a Cina, India o Brasile di adeguarsi ai loro standard qualitativi.

Chi infine si oppone al Trattato per avversione all’agricoltura cosiddetta “industriale”, in nome dell’agricoltura del tempo che fu, a bassa o nulla intensità tecnologica, dovrebbe spiegare in modo chiaro e senza ricorrere a fumisterie come l’agricoltura  del tempo che fu possa garantire cibo sufficiente per sfamare una popolazione mondiale, non solo in continua crescita numerica, ma che giustamente rivendica anche il diritto a un nutrimento sempre più sicuro e di qualità.

Non tutto ciò che è nuovo, ovviamente, è bello. Il progresso comporta dei problemi, che però si devono risolvere guardando in avanti e non all’indietro. La posta in gioco per l’agricoltura nei prossimi anni sarà riuscire a creare un equilibrio armonioso tra rispetto dell’ambiente, sicurezza degli alimenti e redditività delle aziende. Gli agricoltori sentono fortemente questo impegno, ma soltanto con le nuove tecnologie sarà possibile assicurare una produzione sostenibile di derrate alimentari a fronte di una domanda mondiale in continua crescita e garantire la gestione sostenibile delle risorse naturali e delle azioni riguardo al cambiamento climatico.

 

 

 

 

 

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