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Riso: import a dazio zero favorisce industrie Nord Europa e non porta vantaggi ad agricoltori

Scritto il 20-06-2017 da Ufficio stampa | Categoria: Coltivazione erbacee

La concessione fatta nel 2008 ai Paesi meno avanzati di esportare riso a dazio zero, oltre a penalizzare i risicoltori italiani e di tutto il vecchio continente, non porta benefici nemmeno agli agricoltori degli Stati esportatori. Le agevolazioni non sono infatti appannaggio dei contadini locali, ma delle industrie di trasformazione, tra cui si annoverano anche società con sede in paesi del Nord Europa, come Olanda e Germania. Da qui derivano probabilmente le resistenze dell’Unione europea all’applicazione della clausola di salvaguardia, da tempo richiesta senza successo dall’intera filiera del riso e dalle Istituzioni italiane. A sottolinearlo è stata la Cia-Agricoltori Italiani nell’ambito del Gie-Gruppo interesse economico del riso svoltosi a Castello d’Agogna (PV), presso la sede dell’Ente nazionale Risi.

“Alcuni paesi del Nord Europa hanno investito denaro sulla trasformazione del riso in Myanmar e Cambogia, traendone un duplice vantaggio: pagano il riso di importazione a prezzi scontati e non trasferiscono concreti benefici agli agricoltori locali”, ha affermato Dino Scanavino, presidente nazionale della Cia.

“Questo stato di cose è profondamente ingiusto. La concessione Ue ai Paesi meno avanzati di esportare riso a dazio zero mina i redditi dei risicoltori del vecchio continente e non raggiunge gli scopi solidaristici che si era prefissata -ha ribadito Giovanni Daghetta, risicoltore pavese e presidente di Cia Lombardia-. Per questo è necessaria una profonda e radicale revisione del meccanismo, ripristinando con celerità i dazi doganali, almeno oltre una certa soglia e limitando l’import di riso lavorato da queste nazioni”.

La Cia si è anche soffermata sul provvedimento al varo del Governo inerente l’etichettatura del riso in Italia. “Preferiamo sia volontaria e non obbligatoria”, ha dichiarato Daghetta. “Un’etichettatura obbligatoria e quindi generalizzata non porterebbe a una reale valorizzazione del prodotto made in Italy. Al contrario un’etichettatura volontaria spingerebbe il singolo produttore a mettere in risalto le caratteristiche particolari e distintive del proprio riso, che ne fanno un prodotto di vera qualità”.

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